Dieci anni irregolari. Maroncelli 12 festeggia il suo decimo anniversario con una mostra collettiva di artisti Outsider, i Maestri che hanno fatto la storia della galleria milanese.
“Furtiva e selvatica come una cerva” definiva Jean Dubuffet l’Art Brut: un’arte primitiva e fresca ma anche fragile e speciale. Ed è proprio la ricerca di una straordinaria originalità e visione a guidare l’attività di Maroncelli 12 così come la necessità di proteggere e valorizzare l’opera di questi autori non contaminati dal sistema dell’arte. Un lavoro intenso di sperimentazione, approfondimenti accompagnati dalla necessità e dal desiderio di creare ponti, di allacciare collaborazioni.
Ecco in mostra Samaneh Atef (1989), artista iraniana che dal 2020 vive in esilio a Lione, il cui lavoro è stato esposto in Italia, per la prima volta, grazie alla partnership con la galleria GliAcrobati di Torino. Le opere di Atef sono un ripetersi ossessivo di segni grafici sospesi tra il drammatico e il fiabesco che indagano la dimensione intima e profonda della donna e ne denunciano le ferite e gli abusi. Nel 2024 Samaneh vince l’Euward9, premio europeo per l’arte.
Il lavoro presentato di Paolo Baroggi (1967) è frutto di un’intensa attività pittorica svolta nell’atelier Adriano e Michele di San Colombano al Lambro (Milano). Prima di tutto il gesto, immediato, assoluto, gravido di colore che spesso gocciola sulla tela con effetto dripping e che contrasta in modo elegante con la povertà della tela, ricavata dalle vecchie lenzuola dell’ospedale psichiatrico. Poi il colore, sicuro e lo spazio, che non ha mai paura del troppo pieno o del troppo vuoto.
Raffaele Capuana (1947-2019) arriva in galleria grazie alla collaborazione con Paolo Pocchini, ex gallerista e collezionista. Gli Autoritratti, le teste e le lische di pesce testimoniano un insondabile tormento, una continua introspezione interiore da cui sgorga la fascinazione delle sue immagini. Con una tecnica straordinaria l’artista si serve di una profonda visionarietà e di una libertà di espressione eccezionale per esprimere i simboli di una vita non facile e non felice.
Fin dalle prime apparizioni Davide Cicolani (1978) ha portato in galleria un’ondata di freschezza, molteplicità e stravaganza. Tracciati, intrecci, ritratti, i suoi lavori sono di grande potenza grafica. A volte i suoi personaggi sono innocenti, quasi infantili, a volte sono selvaggi, seri, comunque sempre ambigui. Conseguenza della sua vita da nomade che gli ha imposto come “necessario” il solo utilizzo della carta. L’importante è che i fogli possano essere piegati in modo che non occupino troppo spazio e siano facilmente trasportabili.
Personaggio sconcertante, quasi una figura sciamanica, Antonio Dalla Valle (1939-2020) navigava nel suo mondo appoggiandosi a un bastone da passeggio, creato da lui stesso, come fosse un totem, e portando sempre con sé una borsa che riempiva ogni giorno con oggetti per lui preziosi: accendini, pezzi di plastica, nastro adesivo, penne, quaderni. Servono tutti come materiale e ispirazione per le sue opere “concettuali”.
Le donne ritratte da Pietro Ghizzardi (1906-1986) ammiccano immobili dalle loro fiere postazioni. Il pittore riporta sui cartoni di recupero, dipinti da ambo le parti, il duro lavoro del contadino: i suoi colori sanno di terra, di erbe masticate, fiori e mattoni sgretolati. Pochi toni essenziali su cui prevale il nero della fuliggine e del carbone, un segno scuro che solca i volti e delinea i corpi. I ritratti in mostra mettono in luce sguardi e passioni: quell’universo femminile da cui Pietrone è così attratto e respinto allo stesso tempo.
Tarcisio Merati (1934-1995) dipinge un suo personale e liberissimo alfabeto, in un’esplosione di colori incandescenti e vorticosi. Merati non accetta la realtà in cui vive, fatta di miseria economica e culturale a cui reagisce scegliendo un nuovo ruolo sociale. Dal momento in cui scopre la pittura, nell’atelier dell’ospedale psichiatrico in cui è ricoverato, diventa un costruttore di meraviglia e di bellezza. “Liberato” dalla pittura, sceglie di ripartorire se stesso e inventa un altro codice fatto di “macchinette”, “aeroplanini” e “uccelletti”.
Grande protagonista dell’Art Brut, Franca Settembrini (1947-2003) a 11 anni viene ricoverata nell’ospedale psichiatrico di Firenze dove scoprirà la pittura grazie allo storico atelier la Tinaia, aperto al suo interno. Dalle sue opere emerge un universo femminile, un mondo costellato di bambine, giovani della musica leggere, donne dalla folta capigliatura, dagli occhi penetranti e taglienti, dalle mani con dita lunghe e affilate.
Carlo Zinelli (1916-1974) è l’artista brut più noto e collezionato all’estero, il primo a entrare nella collezione di Jean Dubuffet grazie alla segnalazione dello psichiatra Vittorino Andreoli. La sua vicenda artistica si intreccia con quella dello scultore Michael Noble che nel 1957, sotto la direzione di Cherubino Trabucchi, apre nell’ospedale psichiatrico di Verona (dove l’autore è ricoverato) un atelier di pittura. Zinelli frequenta il laboratorio con assiduità riempendo i fogli di disegni di figure stilizzate, animali, uccelli. E glossolalie varie. Un’occasione, la mostra, per celebrare anche il cinquantesimo anniversario dalla sua morte.
Catalogo in galleria con testo critico della storica dell’arte Bianca Tosatti
Galleria Maroncelli 12 – Milano
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